Lunedi sera, 22 maggio 2017, al termine del concerto della pop star Ariana Grande, un kamikaze affiliato all‘ISIS si è fatto saltare in aria, all’arena di Manchester,uccidendo 22 persone e ferendone altre 120.
Vite spezzate da un rancore ideologico, religioso e pazzo le cui radici si trovano ramificate ormai in vaste zone del nostro e altrui vivere comune.
Nelle stesse ore nel Mediterraneo al largo delle coste libiche l’ennesimo naufragio di profughi e immigrati africani a bordo di fatiscenti gommoni verso l’Italia e l’Europa, in fuga da indigenze, povertà sfruttamenti e guerre. In massima parte provenienti da aree a prevalente fede islamica.
Riportano i telegiornali con grande enfasi la notizia dell’attentato in Gran Bretagna, quasi come rutinaria quella dell’ultima strage dei gommoni.
Il presidente della Repubblica Mattarella a proposito di queste morti dice “quello dell’immigrazione è un dramma che interroga le nostre coscienze”. Parole nobili che pero’ lasciano il tempo che trovano.
Due giorni prima del naufragio una nave dell’onlus Moas era salpata dal porto di Messina verso le coste della Libia con l’intento di soccorrere nelle ormai ben note coordinate marine gli immigrati.
Qualcosa era andato storto sui gommoni e a decine avevano perso la vita a fronte di centinaia riscattati.
Sull’operazione erano stati fatti anche due servizi giornalistici per evidenziare come l’unico scopo di quella onlus è il salvataggio delle persone che chiedono soccorso in mare, d’accordo con Frontex e con la Marina militare italiana.
Finora sono state portate sul nostro territorio decine di migliaia di persone in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno e il trend si consolida a confronto degli anni passati.
E’ abbastanza facile prevedere che il flusso di migranti attraverso la rotta libica si trasformi in inarrestabile marea umana nel breve periodo.
Milioni di uomini in marcia e per mare alla volta dell’Europa, via da un continente già ammassato di povertà guerre e degrado. Un continente che appena un secolo addietro contava poco più di 100 milioni di abitanti e che adesso ne contiene oltre 1 miliardo; secondo le previsioni per il 2050 in Africa la popolazione crescerà fino a 2,5 miliardi.
Con le navi dei soccorsi si pattugliano gli spazi marini al largo delle coste libiche, avendosi appuntamenti quasi ad ore prestabilite per le operazioni di riscatto.
Si sa per certo che arriveranno le richieste di soccorso con le coordinate GPS. E’ pretestuoso domandarsi perchè quelle navi, invece di bordeggiare al largo delle 12 miglia, non fanno scalo direttamente nei porti e nelle baie della Libia?
E’ improbabile che la presenza dei soccorsi in acque libiche scatenerebbe la reazione armata delle autorità di quello Stato, tuttora dilaniato da forze contrapposte. Potrebbe operarsi sotto l’egida dell’ONU ma non si fa, optando invece per il riscatto in mare, secondo l’antica legge di soccorrere possibili naufraghi.
SOS, ormai da anni ma per quanto tempo ancora?
Allora cosa impedisce, “de facto”, che la massiccia immigrazione si affronti direttamente all’imbarco, evitando i ricorrenti naufragi?
Problematiche di intervento e di accoglienza
- posto che si debba prestare soccorso e accoglienza ai rifugiati da guerre e persecuzioni, come è possibile discriminare davanti agli imbarchi; tu si, tu no?
- In base a cosa uno si accoglie e un altro si respinge? Ammesso che tale metodica sia percorribile, le reazioni degli esclusi ( la stragrande maggioranza) sarebbero incontenibili.
- Qualora il riscatto avvenisse attraverso operazioni di evidente pertinenza ONU, i profughi potrebbero essere accolti in molteplici Stati ove non sussistono le condizioni della fuga.
- Ma quali Stati sono disposti ad accoglierli spontaneamente? Dovrebbe essere l’ONU a predeterminare i loro obblighi. Anche contro la volontà espressa dai rifugiati?
- Quali criteri dovrebbero essere seguiti per la ridistribuzione dei profughi? Quelli di maggiore vicinanza per cultura, lingua, religione, area geografica ovvero quelli di preferenze individuali ovvero ancora di densità di popolazione ed altri ancora?
- Come respingere pacificamente nei territori di provenienza gli aspiranti profughi. Quali accordi con i governi degli Stati interessati da emigrazioni massicce sarebbero possibili?
- Come dissuadere, in particolare, altri milioni di africani a lasciare le loro terre, a causa delle povertà, premessa di ulteriori povertà nei luoghi di origine e nei territori di approdo?
- Come conciliare la convivenza di questa umanità che spinge alle frontiere dei paesi più sviluppati, non avendo essa quelle qualità che oggi maggiormente si apprezzano nel primo mondo? Spesso così diversa nell’aspetto fisico, nelle abitudini familiari, nelle confessioni religiose, nella preparazione lavorativa e scolastica e per questi motivi, non apertamente dicibili, rifiutabile sulla base delle più diverse motivazioni.
Molteplici sono state le cause e gli scopi, nelle diverse epoche, dietro alle migrazioni umane; inarrestabili quelle pacifiche e fronteggiate con infinite guerre quelle avviate in armi.
Oggi, con una popolazione mondiale di oltre 7 miliardi, residuano pochi territori adatti ad accogliere facilmente grandi masse di popolazione. E’ un fenomeno non nuovo ma da gestire con criteri nuovi ed efficaci per evitare possibili recrudescenze a sfondo ideologico-razzistiche.
Aspirazioni utopiche?
Una fra tutte quella del bando totale e incondizionato della produzione bellica e conseguentemente del commercio delle armi da guerra. Si vis pacem para bellum, sostenevano i romani di due mila anni addietro.
Tale metodica non ha prodotto altro che interminabili conflitti in aree strategiche del pianeta con conseguente fuga delle popolazioni civili e impoverimento perverso di quelle economie.
In un confronto dannato e dannoso fra economie forti e armate ed economie deboli e bisognose di armi.
Per cosa, se non per prolungare sofferenze e sfide ideologiche rafforzative di azioni di terrorismo sotto l’ala di supposti credi religiosi integralistici?
Nel frattempo
Ieri ed oggi a Taormina, in Sicilia, meeting del G7 fra le tradizionali maggiori economie mondiali; domani l’incontro con governanti di alcuni Stati africani. Si discute e ci si confronta su libero mercato, immigrazione, terrorismo, welfare del pianeta.
Per la loro sicurezza il governo italiano ha messo in campo migliaia di uomini armati, poliziotti e dell’esercito. Servizi televisivi plaudenti per una organizzazione perfetta.
Il presidente del Consiglio dei Ministri, Gentiloni, accenna a proposito dell’immigrazione che agli Stati africani verrà chiesto, fra l’altro, di valorizzare il loro capitale umano.
L‘Europa intanto si è dovuta impegnare col presidente Usa Trump, ottimo venditore di armi (110 miliardi di dollari all’Arabia Saudita) ad aumentare fino al 2% del bilancio gli stanziamenti per la difesa.
La Germania, in primis, ha assicurato al riguardo e c’è da giurarci che lo farà. Preoccupazione in più, tenuto anche conto che essa ha sopravanzato altri Stati europei nell’esportazione di armamenti.
Avviene così che la stagnazione dei processi di pace e il rifiuto all’abbandono del metodo militaristico per appianare i confronti impegnano le finanze degli Stati di seconda o ultima importanza in acquisti ogni anno di armamenti aggiuntivi.
Con privazione di risorse in programmi di studio, ricerca, innovazione, benessere complessivo dei territori.
C’è da domandarsi, allora, se l’umanità, oggi, così diffusa in ogni parte della terra, sia un valore di poco conto, specie guardando a quella parte che ha poco o niente; che non conta anche perchè non ha lavoro, che non può acquistare quasi nulla perchè non possiede altro che il proprio essere individuale.
Ai governanti della terra e agli alti rappresentanti nelle istituzioni interessa veramente la vita quotidiana e minuta di tali popolazioni?
Un valore di cui il mondo c.,d sviluppato non ha voglia di giovarsi, di cui, insomma, potrebbe farne a meno, nel non sense di una presenza così ingombrante e improduttiva; insomma un vuoto a perdere.
27 maggio 2017
Codicillo e prossimi percorsi
L’italia è solo un paese di transito per gli emigranti africani; li soccorriamo in mare, li traiamo in salvo e li accogliamo provvisoriamente nei centri di accoglienza, a grande fatica cerchiamo di redistribuirli sul territorio nazionale, ma ora la misura sembra colma perchè gli altri paesi dell’Unione europea hanno fatto sapere che non vogliono i migranti.
Il nostro Paese, che nonostante le operazioni di soccorso , ha posizioni ambivalenti fra integrazione e respingimento , fa sapere per bocca del ministro dell’Interno Minniti, che si avvicina la soluzione estrema di chiudere i porti alle navi con immigranti o profughi.
Soluzione da applicare dapprima alle navi onlus battenti bandiere straniere e, prossimamente, chissà anche a quelle italiane. Perchè, spiega Minniti, la frontiera dell’Europa, al sud si è spostata in Libia e colà occorre intervenire per bloccare l’esodo.
L’Italia va aiutata dice la Commissione europea ma come?
Ragioniamo ancora una volta di quattrini, anche per fare il confronto con quelli dati alla Turchia, per trattenervi i siriani in fuga dalla guerra.
Se l’Europa non vuole gli africani, delle due l’una: si avvertono con ogni mezzo quelle popolazioni di non avventurarsi per mare, se non a loro rischio e pericolo e con azione generalizzata di rimpatrio.
Se questa è la tendente volontà degli Stati europei, non si può agire diversamente. L’operazione di riscatto si interrompe; di conseguenza aumenteranno provvisoriamente le vittime annegate nel Mediterraneo, la tratta dei migranti si attenuerà qualora interverranno accordi e aiuti concreti per quelle popolazioni subsahariane.
Se, invece si accede all’idea di accogliere in Europa altri milioni di africani, è bene andare a prenderli con navi traghetto laddove essi si concentrano, vale a dire nei porti libici e distribuirli nei diversi Paesi dell’Unione.
Pensiero utopico di un africano e pensiero da respingere per un qualsiasi cittadino europeo.
Questo, per limitarci alle migrazioni via mare. E per quelle altrettanto copiose, via terra?
Per affrontarle gli Stati costruiscono barriere, muri e fili spinati etc. La storia dell’umanità, sia pure con modalità del nostro tempo, continua a ripetersi.
5 luglio 2017