La condizione umana e il bisogno di aggregazione
Fin dai primordi una condizione del vivere umano ha promosso e giustificato le aggregazioni vale a dire il bisogno naturale di rafforzare le difese individuali a fronte di pericoli esterni, siano essi per fatti naturali o per azioni di altri gruppi territoriali potenzialmente competitivi .
La consapevolezza che l’aggressività è caratteristica della nostra specie, ha suggerito la formazione delle tribù ed ha posto i tratti distintivi di appartenenza ove diritti e doveri dei singoli trovavano espressione comune nella salvezza delle tribù stesse; in esse si sostentava la vita, fuori di esse vedendosi solo forze pregiudizievoli ed ostili.
La ragione stessa delle formazioni di comunità di umani ha dato legittimazione a combattere con ogni mezzo disponibile gli agguati, le provocazioni e le aggressioni di altri gruppi, col preciso scopo di allontanare o togliere il pericolo; l’annientamento del nemico, la “mors tua vita mea” diventava l’opzione definitiva ove perseguibile.
Vinto il nemico più prossimo e consolidatasi la tribù con l’allargamento del proprio territorio, ricominciava il confronto con altre confinanti tribù e l’inevitabile belligeranza, posto che l’umana aggressività era vissuta come pericolo alla sopravvivenza della comunità di appartenenza. Da tale consapevolezza, che sperimentava l’attitudine alla violenza anche all’interno del proprio gruppo, derivava la necessità di contenere e reprimere le azioni ed i comportamenti incompatibili col bisogno elementare di sicurezza.
Le governances degli umani
L’organizzazione indirizzata all’interno al benessere del gruppo per una sopravvivenza assicurata e rafforzata, poneva proprie regole inderogabili di convivenza sotto individuata governance.
Le conduzioni di vita nei raggruppamenti umani potrebbero ricapitolarsi indicando quali siano state nel corso dei secoli le regole di convivenza e le forme di governo all’interno di essi.
I tratti distintivi conducono tutti, ancora oggi, a come il “leviatano” di hobbesiana definizione esercita i poteri di ordine, direzione, cura, protezione e sviluppo e a quali comandi e divieti i gruppi di pertinenza debbano sottostare.
Le ragion di Stato
Trovano, inoltre, evidenza e distinzione le cd “ragion di Stato” che indirizzano e distinguono le azioni dei poteri pubblici sulle “proprie” collettività, e nei confronti di “altri” raggruppamenti. Tali ragioni prescindono dalle regole cui i singoli debbono attenersi, le sopravanzano e costituiscono, in definitiva, l’intramato sistema per la difesa dei poteri all’interno e verso l’esteriore, una sorta di immunità ad intraprendere iniziative , condurre attività, disporre ordini inibiti dall’ordinamento scritto, anzi penalmente sanzionabili.
Non è mia intenzione proporre un excursus storico né riprendere le linee di pensiero sviluppatesi attorno alle proposizioni e giustificazioni della ragion di Stato; voglio qui soffermarmi su un dato di fatto ovunque riscontrabile: le regole di convivenza e le forme di governo sono poste e imposte da chi o da coloro che temporalmente occupano i poteri; il dichiarato scopo è sempre quello di mantenere ed accrescere il benessere nei territori patri.
Da qui che gli umani territoriali, devono essere identificati come ad esso “leviatano” appartenenti ed obbligati ad accettarne le regole e comandi.
La disobbedienza equivale a rottura dei vincoli di convivenza e di solidarietà e porta inevitabilmente al castigo e alla neutralizzazione, intrinseca essendo in ogni caso la necessità del mantenimento dello specifico “status quo”.
Le agitazioni ed i sommovimenti sociali sono sempre da controllare, indirizzare o reprimere perché non può sfasciarsi quel patto fra popolazione e governanti ove si trovano il senso e la voglia di appartenenza; il venir meno può condurre ad estreme conseguenze sanguinarie e cambio nella gestione dei poteri, finanche a rotture territoriali.
E ’da sottolineare che il potere, ovunque e comunque acquisito, protegge sé stesso, in una sorta di intrinseca identificazione del governante di turno con lo Stato, la Nazione, l’Impero e nella finzione che dal “leviatano” non possa derogarsi dal momento che senza di esso sorgerebbero caotiche e dirompenti situazioni.
Lo scopo sottende alla legittimità delle ragion di Stato che nel corso dei secoli hanno trovato, come vedremo, specificazioni e innovative applicazioni.
La protezione del proprio “leviatano” si impone anche all’esterno territoriale, con apparati di difesa dissuasivi di eventuali, ma costanti, eventi aggressivi; essi si fondano su forze militari, si esprimono con alleanze strategiche, con sanzioni finanziarie e commerciali, con procurate indisponibilità di beni etc, insomma facendo ricorso a tutti i corollari possibili di quelle “ragioni” per rendere innocuo il nemico o i nemici di turno.
Le guerre quali “extrema ratio” sono espressioni di ogni capacità aggressiva e su di esse trovano compimento nuove relazioni internazionali e cambiamenti nei rapporti di forza.
Composizione delle controversie
Trattati, istituzioni, accordi bilaterali ed internazionali ostentano allora mirabili tentativi di rinnovata convivenza , inefficaci tuttavia a evitare quei conflitti che rimandano alle ragion di Stato dei principali attori; anzi specifiche clausole impediscono risoluzioni e azioni congiunte capaci di risolvere violente controversie in cui coloro che comandano risultino implicati.
Laddove siano presenti Entità sovraordinate, i singoli governi si prodigano nella difesa dell’identità del gruppo o del subsistema, apportando presunte specificità e bisogni particolari; di fatto è la difesa del proprio sistema di poteri, al cui affievolirsi seguirebbe l’abbandono della primaziale appartenenza; spesso continua a prevalere l’idea competitiva più favorevole per il gruppo di riferimento.
La cessione di poteri porta inevitabilmente alla concentrazione di essi in una nuova “governance”, più forte e indipendente dai singoli schemi pattizi; l’accettazione richiede tempi lunghi di compromessi, le diffidenze o i rancori essendo sempre in agguato.
Diverse e più stringenti ragion di Stato
Diverse e più stringenti ragion di Stato andranno così a formarsi sui diversi gruppi prevalendo lo Status inderogabile della nuova Entità.
In definitiva, le aggregazioni umane vanno sviluppando nuove complesse formule di governances, non scevre tuttavia da pericolose nuove confrontazioni laddove le competizioni spingono alla formazione di blocchi di interessi che rallentano o inibiscono formule di mutua costante cooperazione.
Le nuove entità sovraordinate si rendono disponibili ai fabbisogni di più vasti territori, finanche dell’intera umanità, indirizzando comportamenti univoci in diversi campi a preservazione, conservazione e sviluppo; per tali scopi al loro interno agiscono agenzie di ogni tipo a portata globale.
In questo intreccio di complicate relazioni i sottostanti originari patti formativi dei governi intermedi possono diventare evanescenti e rituali, perdere quei riferimenti senza i quali svanisce, pericolosamente, il senso di appartenenza.
L’impiego delle nuove tecnologie digitali
Da qui l’impiego delle più recenti tecnologie digitali supportate dell’Intelligenza Artificiale per mantenerlo esercitando il costante controllo territoriale; da qui il ricorso a procedure e nuove regole indirizzate a conservare supposti valori identitari del gruppo puntando alle ataviche diffidenze verso l’esterno. Le popolazioni spesso si inclinano e accettano come salvifici tali messaggi.
Ragion di Stato stabili e deviate
L’umanità potrebbe avanzare mettendo a comune le proprie risorse e capacità od anche retrocedere sotto scacco dei vecchi schemi politici che continuano a fondarsi sulla ineluttabilità di potenti Leviatani; gli accadimenti conseguenti alla difesa del “proprio” leviatano sono stati principalmente guerre, depredazioni e mantenimento di status quo ostativi all’ordinato sviluppo. Stesse storie, ovunque nel mondo perché vanno cambiando i profili alle occorrenze ma non l’intrinseca natura dei leviatani di turno.
Possibili cambiamenti?
Alcune riflessioni al riguardo.
Si può cambiare mettendo efficacemente al bando quelle ragion di Stato che, inibiscono “de facto” un duraturo vivere di benefica pace?
Le popolazioni del pianeta trovano negli Stati di appartenenza la peculiare attribuzione della cittadinanza che le distingue ciascuna dalle altre.
Gli Stati attivano i poteri ad essi propri, internazionalmente riconosciuti come legittimi e dovuti. In tale contesto l’esercizio della primaria “ragion di Stato” mirata alla difesa ed alla preservazione da incombenti pericoli di sopravvivenza è accettato dal diritto internazionale; rispondere con le armi ad un attacco armato appare comportamento legittimo ancorché non auspicabile. Una sorta di legittima difesa che esclude da responsabilità penale l’individuo quando reagisce appropriatamente ad una ingiusta aggressione.
Nel linguaggio fra gli Stati non ha avuto successo la raccomandazione di porgere l’altra guancia; il dettato occhio per occhio dente per dente invece ha fatto ovunque presa, sotto denominazioni diverse, da efficace risposta, a rappresaglia, a vendetta, a guerra finanche. Istituzioni internazionali mediatori o potenze esterne agiscono nelle conflittualità in atto; tutto bene si direbbe ma spesso vi sono indicibili ragion di Stato deviate che orientano azioni verso altri scopi.
Alcuni esempi di deviazioni delittuose di ragion di Stato
Un esempio ricorrente è quello di favorire colpi di Stato per mantenere proprie sfere di influenza e di obbedienza. Altro esempio altrettanto ricorrente è la fornitura di armi per supposto rafforzamento delle difese di un paese, laddove piuttosto si vuole allargare il posizionamento del proprio blocco politico, vale a dire economico tecnologico e militare.
Altri esempi conducono alla supposta apprezzabile esportazione dei modelli democratici di governo o per converso alla proibizione di costumi, comportamenti e religioni differenti da quelli ostentati dal governo centrale ; persecuzioni o eliminazione di intere popolazioni sono i sottostanti scopi anche a colpi di pubblicazioni digitali organizzate su fake news e su manipolazioni delle notizie atte a fomentare avversioni e odio.
Qui agiscono le deviazioni dalla ragion di Stato propiziate dai governanti di turno che dichiarano di assumere il gravame per il benessere della patria mentre sono preda di proprie ossessive e pericolose ideologie.
Interventi sotto ragion di Stato deviate non solo non contribuiscono a risolvere le conflittualità ma le alimentano ; la cd attività geopolitica, quando infiltrata da ragion di Stato sviate dovrebbe essere equiparata a pura e semplice attività delittuosa degli Stati ad opera di pericolosi soggetti od organizzazioni delinquenziali.
Abbandono delle ragion di Stato ? Rinuncia alla violenza?
Può la ragion di Stato all’esercizio legittimo della violenza essere superata nelle relazioni internazionali? In sostanza come può essere assicurata una pace mondiale? Il modello competitivo fra gli Stati è idoneo oppure occorre passare ad un modello inderogabilmente cooperativo? La rinuncia a dotarsi di propri strumenti distruttivi è forse il percorso idoneo a fronte di quello finora praticato che ha prodotto l’accumularsi di arsenali di guerra capaci di annientare molteplici volte ogni forma di vita del pianeta? Una governance multipla mondiale, l’unica dotata di strumenti bellici dissuasivi non opponibili potrebbe essere la formula capace di promuovere e/o imporre la pace e la convivenza fra gli Stati? Per ciò stesso dovrebbero gli Stati rinunciare al legittimo, unico, esercizio della forza, alla loro ragion di Stato interna, per mantenere l’ordine e la convivenza nei territori di pertinenza, in definitiva per garantire la loro sopravvivenza? E forse obsoleto il modello di partizione terrestre fra Stati indipendenti a fronte di generalizzati o incombenti sfide e pericoli quali il deterioramento degli habitat, la scarsezza di risorse, l’esplosione demografica, il cambiamento climatico o le date per certe ricorrenti e inarrestabili pandemie da batteri e virus?
Sono domande che ci danno conto di come sia problematica la convivenza fra gli umani, ora più che prima.
L’inderogabilità e la cogenza della procedura giudiziale
Un percorso lungo, incerto e stretto in cui è necessario incamminarsi e mantenersi senza guardare a ritroso; con nuovi efficaci strumenti ove, prevalga il diritto, vale a dire una sorta di ricorso ad un Organo giudicante sovraordinato e cogente a scapito e a interdizione del ricorso alla forza i cui istinti predatori e di oscura onnipotenza distintivi della nostra specie ci riportano indietro nella storia degli umani. Una sorta di cooperazione forzosa, senza la quale rimane l’attuale riprovevole confronto competitivo fra Stati diseguali in risorse, competenze, sviluppo, estensioni territoriali, popolazione e dotazione di armamenti.
Nessun bisogno di scomodare le altre specie viventi nel pianeta per fare confronti!
Corralejo, Fuerteventura 14 gennaio 2024