(pensieri per una economia e uno sviluppo sostenibili)
Considerazioni preliminari
Lo studio per il conseguimento di un dato obbiettivo si sviluppa, nelle scienze sperimentali, sotto la stretta osservanza di procedure e protocolli ritenuti i migliori in ambito scientifico di pertinenza.
La metodica della verifica dei risultati attribuisce, quindi, al protocollo ed alla procedura seguita la valenza di efficacia rispetto alla situazione fronteggiata; essa pone, inoltre, le premesse per il miglioramento dell’analisi e degli interventi da attuare.
L’economia, come è noto studia e propone il miglior impiego di risorse e mezzi limitati a fronte delle necessità umane, espresse singolarmente o collettivamente, oggi finanche in misura globalizzata, vale a dire mondiale.
Tale proponimento è, tuttavia, strettamente collegato (anzi ne è la fotografia sociale percepita dalle persone) alle ideologie dominanti nella particolare epoca storica e area geografica, tenuto conto della disponibilità delle risorse, dello stato di acquisizione e di sviluppo delle scienze e delle tecnologie.
Sistemi economici
Il sistema economico di un Paese non differisce, quanto alla necessità di ricorrere alla metodologia sperimentale e quindi alla verifica dei risultati.
Esso, inoltre, è specchio dell’agire politico nel tessuto sociale delle regole , sia che vengano comunemente osservate ovvero largamente eluse.
Aggiungasi che nel sistema economico di un singolo Paese facente parte di un’ area geopolitica più vasta con strumenti di governance comuni qual è l’Europa, rimane assai difficile o precluso il ricorso a protocolli e sperimentazioni difformi , quando a prevalere siano linee guida di leaderships non influenzabili o non contrastabili.
Stiamo assistendo, da alcuni decenni al fenomeno antropologicamente rilevante in vaste nuove aree geografiche del pianeta, di una economia strutturantesi progressivamente unicamente secondo il modello dominante del capitalismo finanziario.
Ciò avviene nonostante sia largamente sperimentato che la finanza persegue obbiettivi propri, indifferente come è per sua natura allo stato dell’economia di produzione e commercio dei beni, su cui si avviò, in Occidente, l’affermazione del capitalismo classico manifatturiero e del commercio dei beni.
Capitalismo finanziario
Nel sistema capitalistico-finanziario la ricchezza si identifica e si esprime con la disponibiltà di denaro e di numerosi titoli convertibili in denaro da far valere prevalentemente in sistemi creati ad hoc.
Circuiti di scambio e scommesse ove quella ricchezza può accrescersi a dismisura, favorendone l’accumulazione nelle mani di pochi soggetti capaci di guadagni spropositati, attraverso le diversificate modalità di investimento inventate per i mercati finanziari.
La ricchezza finanziaria circolante, auto riprodottasi enormemente, fino a che si articola quasi esclusivamente in ambito dei propri circuiti, è quasi come un grande gioco per il massimo rendimento, in cui il passaggio di denaro dagli uni agli altri poco conflittua con lo stato e l’evolversi dell’economia reale.
La finanza sostiene od affonda se stessa ma ben si comprende come sia possibile, che l’economia reale sia intercettata e diretta secondo i gusti, gli obbiettivi prossimi o remoti e le ideologie dei detentori degli immensi capitali.
In tali ricorrenze la finanza procura distorsioni nella produzione e nel commercio dei beni, talmente dirompenti da poter mettere in ginocchio economie stabili e capaci di favorire il benessere; ove operasse per l’economia reale essa sarebbe, purtuttavia , capace di avviare e consolidare prorompenti programmi di nuovo sviluppo.
Al momento è largamente diffusa la prima situazione, a fronte di risultati miserrimi nelle economie del terzo mondo.
E tutto ciò è già avvenuto negli ultimi decenni, nei settori dell’agroalimentare, delle risorse energetiche, della medicina, degli armamenti, solo per citarne alcuni.
Ed è ormai largamente sperimentato che quando un Paese è alla mercè del sistema finanziario, la sua economia e la sua organizzazione politico-amministrativa sconteranno forti soggezioni alle decisioni di quel sistema.
Una economia differente
Con queste premesse sembra visionario ipotizzare una diversa economia. E’arduo, altresì, dar valore e concretezza a pensieri capaci di essere accettati e messi in pratica per una economia ed uno sviluppo sostenibili, quando i potentati della terra, spesso sconosciuti perché avulsi da qualsiasi istituzione, governano da innominati lo stato delle cose , solo ordinando pochi clicks sui computers delle borse mondiali.
Il 2012 è l’anno dei Maya ma forse sbagliarono le previsioni: allora vale la pena di giocarsi questa scommessa con la consapevolezza di avere una probabilità su un milione che essa sia considerata accettabile e sperimentabile!
Sistema politico, economia e finanza
In una nazione convintamente democratica, ove operi un governo che della volontà popolare sia espressione e sintesi, verranno perseguiti i migliori risultati di buona economia .
Obiettivi di benessere condiviso, di convivenza pacifica e di prospettive di sviluppo sano e compatibile con l’ambiente .
Essi saranno ricercati con normative e metodi appropriati all’habitat politico-sociale della nazione stessa e gli interventi in economia risulteranno meglio compresi ed accettati anche quando, per mantenere standards acquisiti di welfare, si rendessero necessarie, in congiunture particolarmente avverse, misure c.d. draconiane .
Quali condizioni?
Per essere credibile e accettato, tuttavia, anche un sistema politico ben organizzato e convintamente democratico, deve potere operare secondo progettualità svincolate, vale a dire non sottoposte a condizioni o contropartite che altre aree economiche gli impongono.
Possono essere sanzioni politico-commerciali, interdizioni di forniture di prodotti e tecnologie, di linee di credito etc.
Sono questi gli strumenti moderni cui le economie prevalenti del pianeta ricorrono (spesso senza dichiararlo) per omologare e asservire Stati ritenuti strategici ma con economie povere e non autosufficienti.
Le risorse finanziarie delle economie più sviluppate, anche quando siano sovrabbondanti o addirittura inutilizzate, non prenderanno, dunque, la strada degli Stati non allineati.
Questi Stati stenteranno anche a mantenere integro il proprio sistema politico-sociale; le derive dittatoriali o quanto meno oligarchiche sono sempre in agguato, all’aggravarsi delle situazioni economiche o al permanere di lunghi periodi di povertà diffuse.
Tali prospettive poco allettanti possono diventare prossime realtà e chissà anche obbiettivi da perseguire, atteso che la concentrazione di enormi capitali in mano di pochi soggetti può tranquillamente etero- dirigere le politiche degli Stati più deboli finanziariamente o con economie fortemente dipendenti dalle importazioni.
Se si pensa che le transazioni finanziarie riguardano solo il 3% dell’economia reale, si capisce bene il peso sproporzionato che esse possono avere.
Sol che vi sia la volontà, per intercettare e e dirottare beni indispensabili per la vita di centinaia di milioni di persone, su mercati non solo capaci di assicurare maggiore e più stabile guadagno , quanto piuttosto di mantenere lo status quo più favorevole ai sistemi economici e politici prevalenti.
E’ in sintesi il neo colonialismo del capitalismo finanziario.
Non sono pensieri in libertà ma è ciò che quotidianamente avviene in maniera più o meno palese nei mercati mondiali, proprio a causa della iperbolica concentrazione di capitali in mano a pochissimi soggetti e istituzioni, banche, centrali e non.
Si stima che la massa monetaria-finanziaria circolante nel mondo sia 12 volte maggiore del PIL .
Non c’è bisogno di essere economisti per comprendere come l’economia nel suo complesso sia fortemente subordinata ai diktat della finanza, che tutto muove e impone, secondo regole proprie, poste spesso da governi cui è rimasto un ruolo di rincorsa, una volta accettato il più sfrenato liberismo economico.
Il fattore Europa
Il fattore Europa, forte di 28 Stati, con l’ammissione della Croazia dal 2013, potrebbe essere il grimaldello per sconfiggere, anche a livello globale, il capitalismo finanziario che si mangia l’economia reale.
E’ necessaria, tuttavia, una coesione politica coraggiosa e lungimirante che si scrolli di dosso i non sopiti nazionalismi e che individui nuovi percorsi di benessere e sviluppo condiviso e partecipato, a cominciare dalle aree più esposte agli influssi di cattiva governance per cause storiche o per contingenze politiche che esprimono una potenziale deriva autoritaria xenofoba o comunque protezionistica .
Situazione in Italia
Il sistema politico-amministrativo viene da tempo percepito dalla popolazione come un peso insopportabile, che poco o nulla ha a che fare con il vivere giornaliero comune.
Non sono bastate pubblicazioni e libri su scandali, collusioni, privilegi della c.d. casta per avviare il rinnovo di tale sistema, dal momento che il potere è riuscito a perpetuare se stesso fin nelle più nascoste pieghe dell’amministrazione e delle aziende pubbliche.
Esso abbisogna, e pretende, oltre la metà del reddito che viene prodotto, fornendo per contro attività e servizi da terzo mondo. Il sistema elettorale per il parlamento e per alcune regioni inibisce ai cittadini di votare le persone, le quali sono prescelte dai potentati o dai padroni dei partiti.
E’dunque il sistema dei designati, non degli eletti.
Anticipazioni di giornali riferiscono che l’ammissione dei referendum per l’abolizione del c.d. porcellum è a rischio, sotto la pressione di alcuni partiti che vorrebbero il ritorno al proporzionale.
(Anzi la Corte Costituzionale ha sentenziato che nessuno dei due è ammissibile; diversamente , ci sarebbe una vacatio legis, inaccettabile in un sistema democratico. Vale a dire che ci deve sempre essere in quell’ ordinamento, una legge elettorale).
Ora tocca a questo Parlamento, sollecitato dal Capo dello Stato a provvedere con tempestività, prima della scadenza naturale della legislatura, nel 2013.
Normative e procedure assicurano il mantenimento degli apparati pubblici lucrativi. Di contro, la popolazione è gravata da un debito pubblico di circa 2000 miliardi di euro, (per il 40% interno, per il 60% estero) a fronte di un prodotto interno lordo di poco superiore a 1500 miliardi di euro.
La durata media di tale debito è di circa 7 anni; tuttavia esistono picchi di obbligo di restituzione (nel 2012 oltre 400 miliardi di euro).
Il debito pubblico è il risultato di decenni di finanza pubblica allegra ed elettoralistica, per fronteggiare spese correnti , alcune calamità e qualche investimento.
L’accelerazione dell’incremento del debito sembra inarrestabile, anche a causa della crisi, finanziaria ed economica, che spinge a interventi di spesa riparatori del malessere sociale e della mancanza di lavoro.
Nel contempo, però, la spesa corrente improduttiva non è stata ancora individuata e scalzata, né si è rinunciato a proseguire su alcuni acquisti ed investimenti c.d. infrastrutturali, ritenuti indispensabili dai lobbisti dei settori degli armamenti e dei trasporti.
Giustificazioni di appartenenza a sistemi di difesa occidentali da cui non possiamo smarcarci evitando spese di miliardi per investirli in aerei sofisticati da combattimento, come pure progetti irrinunciabili di trafori in Piemonte e gallerie in altre parti fra Liguria e Lombardia, asseritamente necessarie per migliorare le ferrovie, non convincono affatto.
Fa riflettere l’entità della spesa, sia perché, nello specifico , non abbiamo nemici da bombardare e la sottrazione di risorse per interventi di miglioramento delle comuni infrastutture per la gente comune rende intollerabile il degrado diffuso cui si assiste, accentuato percorrendo da nord a sud la penisola.
A proposito, a che punto è la trattativa con Impregilo per disattivare del tutto la mina della penale per la rinuncia alla costruzione del ponte di Messina, costato finora centinaia di milioni di euro per un progetto inattuato e inattuabile o per il fatto che è stata costituita la società per il ponte sullo Stretto, con organi di gestione e personale che tuttora vengono pagati ?
ll nostro Paese appare oggi alla mercè degli investitori nei mercati finanziari: vengono richiesti, ormai da un anno, interessi via via più elevati per prestare allo Stato quel denaro che gli serve per onorare le scadenze del debito.
Il governo tecnico salva Italia
Anche la chiamata in emergenza di un governo c.d. tecnico, sostitutivo del decotto e impresentabile governo politico, non sembra sortire, nel breve periodo gli effetti calmieratori sui mercati, come auspicato.
Uno dei motii è il permanere in carica dello stesso parlamento composto da designati, la cui maggioranza aveva sostenuto fino al novembre scorso una vergognosa manipolazione delle istituzioni a vantaggio di singoli o di pochi soggetti, appartenenti alla casta di governo o parlamentare.
Le manovre finanziarie o, come più recentemente denominate, leggi di stabilità, decreto” salva Italia”, prossimo decreto “cresci Italia” hanno mirato nelle intenzioni dichiarate dei governi , in special modo dell’ultimo, composto da tecnici, ad evitare il default e ad avviare la crescita e lo sviluppo del nostro Paese.
Nonostante tali manovre, tuttavia il debito si è accresciuto e si accresce, inesorabilmente, con uno spread di rendimento fra buoni del tesoro e bund tedeschi che ora supera i 500 punti, ora scende a 430, livelli comunque insostenibili per una economia in recessione.
Situazione in Grecia
Se da un lato ci viene proposto e quasi imposto, dall’Europa, il solido esempio tedesco da seguire, si assiste da un altro, alle conseguenze nefaste che l’approccio prevalentemente finanziario ha già prodotto sull’economia di un altro paese, la Grecia.
L’aut- aut di rientro dal debito e la necessità di capitali freschi, precipuamente impiegabili a tale scopo, hanno portato il governo di quello Stato ad adottare misure severissime di bilancio.
Tanto severe che in tre anni l’economia della Grecia risulta presso che strangolata, e appare imminente l’uscita di quello Stato dall’area euro col ritorno alla dracma, come peraltro buona parte della popolazione greca ora reclama.
Da ultimo sembra che il debito venga ridimensionato del 70% (col fallimento il debito non potrebbe essere neanche minimamente onorato) per consentire a quel Paese di rimanere in area Euro.
La Grecia, intanto, ha dovuto subire provvedimenti di fortissima riduzione del welfare, con dimezzamento di pensioni e stipendi pubblici.
Il mercato del lavoro, già incerto e non strutturato su produzioni diversificate, è crollato, la disoccupazione è cresciuta, ovunque sono esposti i cartelli gialli di vendesi, cedesi attività etc; i prezzi dei beni spingono in rialzo e l’inflazione incalza i redditi della popolazione comune, riducendoli ulteriormente.
C’è chi evidenzia che la Grecia è tornata agli anni ’50.
Il governo di quel Paese aveva truccato i conti pubblici per entrare nell’area euro e beneficiare dei contributi europei agli investimenti. Tale circostanza, conosciuta dagli esperti era stata, tuttavia, sottaciuta. Ma spese eccessive , improprie e improduttive avevano dato avvio alla crisi finanziaria.
L’apparato pubblico sovrabbondante e non produttivo, remunerato lautamente, rispetto al resto della popolazione, aveva contribuito ad accelerare il dissesto finanziario.
Prese avvio il rientro dal debito con riduzioni drastiche nel settore della sanità e del welfare; vi fu lo sciopero degli infermieri, manifestazioni di piazza vennero fronteggiate col ricorso massiccio della polizia; vi scappò anche un morto, un giovane manifestante colpito da un proiettile delle forze dell’ordine.
Nuove elezioni, nuovo governo, nuove manovre, infine concessione di prestiti dall’Europa a condizioni capestro, inizialmente.
Quindi meno devastanti anticipazioni di denaro, comunque gravide di conseguenze pesantissime sul piano socio economico della Grecia e sulla tenuta del tessuto democratico di quella nazione che conta poco più di 10 milioni di abitanti, per la metà concentrati nella capitale, Atene: tutto ciò in meno di tre anni (2008-2011)
Interventi di sistema
A fronte di risultati deludenti l’attento ricercatore in disciplina economica chiede altri interventi e metodi più efficaci per fronteggiare la crisi che stringe alcune nazioni dell’Europa in una morsa recessiva di surplus di debito, di chiusure di aziende e conseguente crescente disoccupazione, situazioni che non fanno intravvedere una sia pur minima luce in fondo al tunnel.
Da tempo, ormai, è invalsa come verità comune nel sistema liberistico globalizzato, che i mercati sono i veri regolatori dell’economia.
Solo essi sono capaci, si afferma, di valutare, premiando o bocciando lo stato di salute o il malessere degli Stati, sotto il profilo socio-economico e finanche politico.
Se uno Stato, per esempio, è capace di onorare il proprio debito ed attua una politica economica produttiva con fiscalità coerente con l’obiettivo di crescita e sviluppo, i mercati premieranno quello Stato meritevole non solo della tripla A, ma rimarcandolo come modello leader cui doversi assimilare.
La Germania di Angela Merkel è attualmente il modello da seguire, in Europa, secondo l’indicazione che danno i mercati finanziari.
Quali sono, dunque, le cause del mancato conseguimento, in casa nostra dei medesimi risultati? E’ il modello tedesco che ci farà uscire da un trend di recessione economica e sociale? Quali sono gli interventi di sistema, altrimenti chiamati strutturali, per invertire la nostra economia dall’attuale malessere di milioni di famiglie ad un benessere condiviso e duraturo?
Queste domande, questo bisogno di venirne a capo, inevitabili in settori scientifici sperimentali, si rendono urgenti anche in quello più propriamente di politica economica, tenuto conto non solo dei dati contabili assai deludenti, quanto piuttosto dell’evidente accresciuto malessere di una parte consistente della popolazione italiana.
Interventi sul mercato del lavoro e sulla previdenza
A fronte di circa 46 tipologie di contratti di lavoro, si rende urgente, in controtendenza rispetto a quanto praticato nel corso degli ultimi 2 decenni, restituire certezza di relazioni fra datori di lavoro, pubblico o privato, e lavoratore.
Le tipologie di rapporti di lavoro potrebbero ridursi drasticamente: prevedere per esempio, un ingresso da apprendista, come una volta; un ingresso , per una sola volta a progetto, sulla specifica esigenza dell’azienda, non ripetibile; un ingresso a tempo determinato non ripetibile; un ingresso a tempo indeterminato.
L’art. 18 dello Statuto dei lavoratori dovrebbe essere esteso a tutte le aziende, anche a quelle minori: ciò favorirebbe il tendenziale aumento del numero dei lavoratori, al contrario di quanto sostenuto dai governi di centro-destra. L’imprenditore non avrebbe più interesse a mantenere la propria struttura con impiego basso di mano d’opera, al fine di essere esentato dall’applicazione dell’art. 18.
Paradossalmente, l’esenzione delle piccole imprese dall’applicazione di quell’articolo ha prodotto parcellizzazione delle imprese stesse ed esplosione delle relazioni di lavoro fondate sulle cosiddette partite IVA.
Esse dovrebbero, invece, essere previste esclusivamente per le attività nelle quali le effettive prestazioni d’opera non dipendano, per il loro mantenimento, dal beneplacito o dalla fornitura di una sola azienda.
Anche nel campo del franchising, della gestione di negozi, delle c.d. libere professioni, il rapporto fra datore di lavoro e prestatore d’opera deve trovare collocazione e disciplina nell’ambito del lavoro subordinato.
Solo in tal modo si potranno evitare quelle situazioni di precarietà diffusa che spengono qualsivoglia iniziativa o progettualità personale.
Un avvocato, per esempio, che abbia relazione esclusivamente con uno studio o associazioni di studio, specie ove prevista l’esclusività della prestazione, non dovrebbe essere obbligato a fatturare ma potrebbe, più propriamente, essere assimilato al lavoratore dipendente.
A meno che lo stesso professionista non opti per la partita IVA, senza sottostante obbligo di esclusività della prestazione.
Altro intervento potrebbe riguardare l’erogazione della cassa integrazione.
Gli oneri derivanti, specie in periodo di crisi economica, assorbono somme di denaro rilevanti e alcune forme di cassa integrazione gravano sulla fiscalità generale: a queste occorre porre particolare attenzione per una diversa gestione, indirizzata prevalentemente a mantenere in attività il lavoratore, anziché a risarcirlo, per così dire, del mancato guadagno.
In congiunture sfavorevoli di lungo periodo, quali quella attuale, il tasso di disoccupazione tende a crescere, anche in conseguenza della dismissione di aziende o per l’impossibilità delle stesse, ancorchè in attività, di sostenere completamente gli oneri di un nuovo rapporto di lavoro.
In sostanza, anche le aziende che continuano a produrre, evitano di assumere personale.
Qualora, tuttavia, in esse trovassero occupazione, previo percorso formativo, quei lavoratori che fossero disposti anche temporaneamente a cambiare ruolo e tipo di lavoro, per quelle stesse aziende potrebbe prevedersi che debbano pagare solo una percentuale di salari, stipendi e contributi, capaci di integrare totalmente il reddito del lavoratore e, nel contempo, di abbassare l’onere della cassa integrazione.
L’utilità di tale previsione normativa appare chiara ed evidente nel vasto settore delle imprese cd marginali, ove la disponibilità di capitali è limitata.
Quegli stessi imprenditori che non si possono permettere di assumere mano d’opera oppure offrono lavoro esclusivamente al nero e a compensi stracciati, sarebbero capaci di sostenere oneri ridotti a fronte di prestazioni di lavoro capaci di mantenere in vita l’azienda.
Pensiamo a quanta attività, regolare e produttiva di benefici risultati potrebbe risultare nei settori agricoli c.d. marginali; non ci sarebbe bisogno di grande specializzazione, bastando talora solo un breve corso formativo e l’esempio direttamente sul campo dell’imprenditore agricolo.
Si stima che in Toscana, per l’impossibilità degli agricoltori di avvalersi regolarmente di collaborazione a prezzo sostenibile, tenuto conto dell’entità minima di reddito , negli ultimi anni siano stati trascurati ovunque gli uliveti, parte integrante del paesaggio delle colline di questa regione, con abbandono già avvenuto di oltre 5 milioni di piante.
Nella zona in cui vivo, la scorsa annata molti terreni non sono stati coltivati a causa dei costi elevati e dei ricavi minimi.
E il contributo europeo, disaccoppiato dal risultato produttivo risulta, alla lunga, controindicato.Non si tratta di ritornare alla terra, (nell’ultimo anno anzi, sono venuti meno altri 40.000 lavoratori nel settore), quanto piuttosto di rendere fattibile la cura del territorio attraverso l’impegno, finanziariamente sostenibile, dei piccoli imprenditori agricoli.
Al riguardo ci deve far riflettere il consumo accelerato di terreno fertile per insediamenti di ogni tipo; urge, quindi la riqualificazione delle terre e l’utilizzo delle strutture già esistenti.
Il sostegno dai lavoratori in cassa integrazione, ma senza lavoro, potrebbe risultare determinante anche ai fini della cura e salvaguardia dell’ambiente.
Occorre modulare, a tale scopo, libertà e diritti con doveri e oneri; nello specifico, a fronte di richieste di collaborazione, una volta valutata la fondatezza per l’obiettiva condizione aziendale, la persona in cassa integrazione, ritenuta idonea al lavoro offerto, potrebbe essere, anche per periodi stagionali, essere indirizzata a quell’azienda.
Il ripetuto rifiuto di lavoro dovrebbe comportare progressive riduzioni degli importi della cassa integrazione, fino a farla cessare del tutto.
I Comuni e le Camere di Commercio eserciterebbero la funzione di tramite, asseverando la condizione di permanente o temporanea marginalità dell’azienda e concordando durata e tipologia dei lavori.
Di recente è stato emanato un decreto di liberalizzazione per gli orari dei negozi; in sostanza possibilità di apertura h 24; ma è improbabile che il prolungamento degli orari produca maggiore propensione alla spesa, od occupazione significativa a fronte della stagnazione dei consumi.
Tenteranno la strada solamente le grandi strutture distributive, col conseguente risultato di sbaragliare il negozio a conduzione familiare o parafimiliare, per l’insostenibilità dei maggiori costi di personale.
Anche in questo settore, sembrerebbe utile tentare di sperimentare l’utilizzo di personale proveniente dal trattamento di cassa integrazione, per abbattere gli oneri.
Occorre aver sempre presente che la concorrenza è migliorativa di qualsiasi situazione negativa nel settore economico, purchè i soggetti economici siano confrontabili, quanto alla sostenibilità degli oneri derivanti dall’attività d’impresa.
Diversamente, le distorsioni saranno talmente profonde da procurare un tipo solo di offerta, in un mercato indifferenziato e tendenzialmente mediocre per qualità di beni e servizi offerti. Una sorta di monopolio, mascherato da libero mercato concorrenziale.
La riforma ulteriore delle pensioni, approntata fra le lacrime dal nuovo governo dei tecnici , ha introdotto il sistema contributivo ed ha innalzato l’età pensionabile per uomini e donne.
Tale riforma introduce un criterio di equità, quasi patto generazionale fra giovani e vecchi ma ha mancato fortemente sul criterio della libertà di scelta dei singoli lavoratori.
Uno stato che non voglia qualificarsi illiberale dovrebbe evitare scelte fondamentalistiche.
Esso dovrebbe preoccuparsi di allargare gli spazi di progettualità di vita da parte dei cittadini: ma aver subordinato l’erogazione della c.d. pensione al compimento di 66-67 anni sostanzia una concreta contrazione delle aspettative e bisogni di libertà ed è frutto di ideologia sostitutiva delle libere scelte dei cittadini.
Se si abbandona, anche temporaneamente il lavoro e si riscuote quanto maturato, pro rata, essendo stati versati i relativi contributi, può rientrare nelle facoltà del lavoratore o gli si deve negare perché tale scelta è disdicevole e antisociale?
Interventi per il riavvio delle imprese
Quando un’azienda entra in crisi, varie possono essere le cause nel sistema globalizzato e interdipendente dell’economia finanziaria.
Fra esse, il fabbisogno insoddisfatto di capitali, la concorrenza interna o internazionale, il calo accelerato della domanda di un particolare bene e, conseguentemente, delle commesse industriali.
Ed ancora. la nuova tecnologia che scalza quel prodotto, l’insostenibilità delle spese complessive, la dislocazione geografica, la bassa produttività dell’organizzazione aziendale , la mediocre qualità del prodotto a fronte del prezzo praticato, la disaffezione dell’imprenditore o della manodopera, la imprevidenza negli investimenti.
L’elenco potrebbe continuare.
Di fatto, quando un’azienda entra in crisi e va verso la chiusura, si verificano effetti riduttivi dell’occupazione, riferibili all’azienda ed alle altre realtà economiche ad essa collegate.
Quanto più grande è l’azienda che entra in crisi, tanto più allargato è l’effetto riduttivo dell’occupazione e non solo nella specifica area in cui essa opera .
L’analisi della crisi aziendale e della via d’uscita, quando si tratti di imprese con forma giuridica autonoma dovrebbe, per prassi essere concertata fra maestranze, imprenditori, managers e rappresentanti del settore, sia di parte sindacale che imprenditoriale e vi dovrebbero concorrere rappresentanti delle banche, ove creditrici.
Tuttavia, l’obbligatorietà della concertazione dovrebbe scattare non quando l’azienda è ormai con l’acqua alla gola ma quando siano stati superati alcuni parametri di allarme: caduta eccessiva di valore del titolo in borsa, accresciuto fabbisogno insoddisfatto di capitale, a fronte dell’ indebitamento rispetto al patrimonio, il ricorso ripetuto alla cassa integrazione etc.
La garanzia triennale che oggi la Stato offre al sistema del credito dovrebbe abbassare la diffidenza delle banche sulla meritevolezza delle aziende a ricevere finanziamenti a tassi decenti; altrimenti, tanto vale che lo Stato, direttamente si procuri finanziamenti dalla BCE per destinarli alle aziende meritevoli ma bisognose di capitali a tassi d’interesse sostenibili.
Potrebbe sperimentarsi, specie nelle aziende strutturate con maestranze di buona o elevata competenza, la strada della gestione cooperativistica, senza dovere attendere il solito cavaliere bianco che si propone solitamente quale riorganizzatore fruendo di contributi.
L’economia italiana, nella sua strada ha incontrato tantissimi cavalieri bianchi che sono comparsi come meteore; si dovrebbe cominciare, nelle aziende in crisi, a diffidare di simili personaggi, impiegando tutte le comuni risorse per riorganizzarle direttamente.
Tale previsione potrebbe rendersi percorribile se nelle aziende meglio strutturate operasse,” a latere ” del consiglio di amministrazione una sorta di consiglio interno, di verifica dello stato aziendale, composto come sopra indicato, pronto a prendere in mano le redini dell’azienda per il periodo occorrente alla sua riqualificazione e ristrutturazione.
Nelle aziende a minore capitalizzazione, con scarso numero di dipendenti od anche nelle ditte individuali, si verifica in periodo di crisi il mancato pagamento dei contributi o quanto meno il ritardo, che spesso si accumula.
Queste aziende, per potere lavorare devono possedere il DURC ovvero il documento rilasciato, per es. nel settore edilizio, con il quale è attestata la regolarità contributiva.
Tale certificazione , che dura 90 giorni e va rinnovata, si ottiene se l’azienda ha avviato il pagamento dei contributi, secondo un piano di rateizzazione che deve essere rispettato, ovvero in caso di mancato adempimento, al pagamento dell’intera somma dovuta all’Ente.
In sostanza, un’azienda che non riesce a pagare i contributi deve o lavorare in nero o cancellarsi dal mercato del lavoro.
Quando si tratta di piccoli interventi che non includono comunicazioni, dichiarazioni di inizio di attività o SCIA et similia, il committente agevolmente ricorrerà a queste piccole imprese le quali pur di provvedere alle esigenze minime di famiglia, applicheranno prezzi convenienti, lavorando assolutamente al nero; per quanto tempo, dipenderà dalla crisi e dai controlli.
Diversamente, se fosse possibile affidare lavori anche alle ditte morose o inadempienti sul lato contributivo, le situazioni talora penose e irrisolvibili troverebbero conveniente soluzione: basterebbe introdurre una norma che preveda il pagamento delle spettanze direttamente all’Istituto titolare del credito il quale trattiene una quota del debito e corrisponde la restante somma all’azienda debitrice.
Sarebbe così facilitato il reingresso di queste aziende marginali e in difficoltà finanziarie nel mercato del lavoro, evitandosi quanto meno una parte del lavoro in nero.
Interventi di finanza pubblica
Nel 2012 si renderà necessario, nel nostro Paese, restituire circa 400 miliardi di debito, per la quasi totalità con l’emissione di nuovi titoli a diversa scadenza; gli interessi sono da in una fase di crescita accelerata, oggi al limite del 7%.
I vincoli di bilancio posti dall’Europa hanno prodotto ben quattro manovre finanziarie nel 2011, con valenza permanente o poliennale, che sottraggono con nuove o più pesanti tasse e imposte indirette, centinaia di miliardi di euro alla disponibilità di reddito delle famiglie e di piccole imprese.
Esse producono anche, tendenzialmente, diminuzione di spesa precipuamente nei settori, del welfare, a sanità e previdenza.
Solo una parvenza di imposte più pesanti su redditi elevati o su disponibilità di denaro, già scudati.
Sono confermate ed elevate le addizionali delle regioni e degli altri enti locali .
L’introduzione dell’IMU, con valenza retroattiva 2011, restituisce con gli interessi agli enti locali quanto tolto con l’abolizione dell’ICI.
Aumenti delle tariffe e dei servizi, ben oltre il tasso di inflazione si traducono in ulteriori riduzioni dei redditi disponibili .
Uffici studi del sindacato UIL stimano che l’insieme delle manovre, a regime, avrà sottratto alle famiglie, mediamente, oltre 8000 euro.
Fra gli obbiettivi governativi dura lotta all’evasione fiscale: la tracciabilità dei pagamenti superiori a 1000 euro e controllo spinto sul territorio e sui conti correnti.
Anche l’utilizzo della moral suasion: sono gli evasori che mettono le mani nelle tasche degli italiani, non lo Stato. Intanto si aspetta l’emanazione di un nuovo decreto, “cresci Italia” da parte del Governo di tecnici (anzi, sabato 21 gennaio è stato licenziato dal Consiglio dei Ministri, dopo 8 ore di seduta)
Attuali linee di intervento e provvedimenti ad hoc
Liberalizzazioni, privatizzazioni, aumenti del numero delle farmacie e dei notai, abolizione delle tariffe degli avvocati, nuovi investimenti nel settore dei trasporti, per 5,5 miliardi, con rinuncia implicita alla costruzione del ponte sullo Stretto.
E ancora,programmi di sviluppo e di ricerca, incentivi all’occupazione dei giovani e agli investimenti, utilizzo delle risorse europee destinate ai territori per programmi cofinanziati e non utilizzati per incapacità di spesa dei governi locali.
Si aspetta ancora la fase tre delle liberalizzazioni che dovrebbe riguardare anche i grandi oligopoli dell’energia .
Il debito pubblico
L’Italia ha potuto godere per circa 9 anni, dall’adesione all’area euro, di favorevoli tassi d’interesse, inimmaginabili ai tempi dell’inflazione a due cifre.
Tuttavia il debito pubblico è ulteriormente cresciuto. Viene calcolata in circa 570 miliardi la crescita del debito sommando gli anni in cui Berlusconi ha governato il Paese. Il rientro dal debito fino al 60% del PIL posto dall’Europa, al ritmo del 5% annuo, presuppone che l’italia abbia sviluppo e paghi interessi bassi.
Il permanere di un alto spread riduce ulteriormenete gli spazi di manovra dell’esecutivo Monti che cerca di riconquistare la fiducia dei partners più forti dell’Europa e dei mercati finanziari.
Ma la speculazione ha ormai una preda assai ambita e non la molla, e la presa è sempre più forte pur col rischio di spingere l’Italia al default; too big è l’economia dell’Italia nell’Europa per fallire, si sente dire.
Ma allora perché si spinge la cresta degli interessi, nonostante le gravose manovre economiche?
V’è ancora un deficit di credibilità, collegato alla complessa situazione economica politica e sociale del nostro Paese, ove l’eliminazione degli sprechi e delle spese improduttive tarda ad arrivare?
Forse a motivo che il governo dei tecnici, chiamato a risanare il Paese, è anch’esso poco coraggioso a proporre riforme sostenibili, liberali e di crescita, perché non vuole correre il rischio di restare impallinato da un parlamento di nominati, ossequioso ancora agli ordini dei capi partito?
E così si trascina la triste vicenda dell’Italia, deficitaria in democrazia, in eguaglianza fra i cittadini, ancora al guinzaglio di caste e di lobbies .E’ un’Italia, salvo inversione stabile e rapida di rotta, destinata a uscire dall’area euro per sua precipua colpa, coadiuvata in questo dalla miopia di Francia e Germania.
La prima, tuttavia, avrebbe un grandissimo interesse a che l’Italia ce la facesse a risanarsi e a pagare il debito, dal momento che centinaia di miliardi di euro, in titoli italiani sono stati sottoscritti da operatori francesi.
E la seconda avrebbe pari interesse, tenuto conto dell’elevatissimo interscambio commerciale, stabilmente favorevole all’area tedesca.
In estate, intanto, gli operatori tedeschi avevano dismesso titoli italiani per oltre 200 miliardi.
Vie d’uscita
C’è una sola strada da percorrere in Europa se gli obbiettivi condivisi sono quelli di tenere in piedi l’euro e consolidare economicamente e politicamente l’Europa.
I debiti sovrani di tutti gli Stati europei dovrebbero essere acquistati dalla BCE a tassi infimi, fino al completo risanamento e consolidamento dello sviluppo delle loro economie, che richiede più tempo rispetto a quello che occorre agli speculatori per agire.
Se, come viene posto e imposto, ogni Stato aderente all’area euro deve fare i compiti a casa propria, ebbene, una volta fatti, non si può lasciare i singoli Stati alla mercè degli appetiti finanziari.
Bisogna che l’Europa dell’euro rompa i privilegi gestiti dai mercati finanziari, i quali, anche per interessi non del tutto palesati, riescono a sconvolgere i mercati e a mantenerli sotto tiro, disponendo i pochi soggetti innominati, di capitali talmente ingenti da confrontarsi vittoriosamente con gli Stati stessi.
Poiché interessi del 7% annui su titoli decennali comportano per l’Italia un aggravio di 28 miliardi annui di debito pubblico, dal 2012 in avanti, qualora lo spread rimanesse stabile, è del tutto evidente che qualsiasi manovra finanziaria di aggravio di tasse e imposte rincorrerà obbiettivi velleitari e inutili, con accelerato impoverimento dell’economia.
Viceversa, l’obbiettivo comune di rapporto debito PIL pari al 60% sarebbe conseguibile , anche in congiunture sfavorevoli e attraverso vere riforme, se gli Stati dovessero rimborsare solo la BCE, alle scadenze programmate dei titoli.
In tal caso anche gli acquisti di titoli da parte della BCE diminuirebbero di anno in anno, in un trend virtuoso che sollecita lo sviluppo delle economie degli Stati.
Affidabilità degli Stati
E’ chiaro che il presupposto di tutto ciò è l’affidabilità degli Stati nei loro programmi di risanamento dei conti ed una maggiore integrazione delle loro economie, in un rapporto vicendevole di maggiore fiducia, con governances che guardano allo sviluppo dell’intera Europa ed area euro quale bene comune da conseguire ancor prima e ancor meglio del benessere di un singolo Stato.
Nell’era della globalizzazione disomogenea, qual è quella che viviamo, rischia se resta solo, di essere pretermesso dai commerci e dalla messa in comune dei risultati della ricerca e della tecnologia.
In Italia lo sviluppo passa dalla irrinunciabile e non procrastinabile ricostruzione ab imo del nostro Paese, a cominciare dal sistema istituzionale e politico che fa acqua da ogni parte, sottraendo inutilmente, corruttivamente o ingiustamente molte risorse al sistema paese delle imprese e delle famiglie.
Per sostenere lo sviluppo ci vuole coerenza, coraggio, esempio di buon governo, vera equità fiscale e coesione sociale condivisa, ricerca allargata e finanziata nelle scuole, nelle università, a servizio della collettività in tutti i settori delle produzioni e dei servizi, investimenti diffusi nel territorio per la salvaguardia e la tutela di esso, del paesaggio e della qualità degli insediamenti urbani ed agricoli.
Nell’immediato servono disponibilità consistenti di risorse finanziarie da attingere ad altre fonti di quelle finora utilizzate.
S’impone con urgenza di passare, quindi, da manovre recessive ad altre potenzialmente capaci di destare nuovo interesse nei lavoratori e nelle imprese per uno sviluppo duraturo, sostenibile e coeso socialmente.
Tali condizioni, come già detto, possono essere favorite qualora il sistema Europa reagisca fin dai prossimi giorni efficacemente sul fronte della sottoscrizione del debito a interessi minimi, spiazzando le aspettative degli attuali investitori.
L’Italia potrà così destinare parte del surplus derivante dalle tasse e dalle imposte in programmi di investimenti forieri dello sviluppo.
Ma non basta: occorre che il Paese disponga prontamente di ulteriori risorse finanziarie: se la lotta all’evasione fiscale desse buoni frutti, anch’essa contribuirebbe a dare coerenza all’azione di governo, assicurando maggiore equità; ma le nuove risorse devono essere spese bene, non dilapidate come finora, da decenni.
E ancora: se le retribuzioni, corrisposte dallo Stato e dalle aziende ed anche le pensioni, oltre una soglia prefissata, fossero corrisposte in titoli di debito pubblico, a tasso minimo, s’incrementerebbe la percentuale di debito posseduto dai cittadini e si abbasserebbe drasticamente il fabbisogno per pagare interessi.
Tale scelta s’imporrebbe inevitabilmente, quale ultima spes, qualora la BCE non intenda percorrere la strada dell’acquirente esclusivo del debito pubblico degli Stati.
La scelta di pagamenti con titoli del debito pubblico a interessi minimi prefissati, sostituirebbe in buona misura l’attuale situazione di spread elevato; invero, anche quando il debito italiano fosse comprato dagli stessi cittadini, come da alcuni divulgato pubblicamente sui giornali, ma a tassi d’interesse annuo del 7%, equivarrebbe a procurare lo stesso default per mano familiare, piuttosto che per pretese straniere.
Qual è la soglia da cui partire?
La richiesta coesione sociale, per la quale è stato costituito un ministero, presuppone che le condizioni di vita del più sfortunato e miserabile cittadino italiano possa confrontarsi senza odio o voglia di violento riscatto con la condizione del più fortunato, capace e invidiabile benestante. Altrimenti di quale coesione si tratta?
Il sistema economico finanziario ha ridotto progressivamente le retribuzioni e le pensioni di gran parte dei cittadini, fino alla soglia della povertà per un quarto di essi, a fronte di pensioni erogate dallo Stato di centinaia di migliaia di euro e di retribuzioni pubbliche e private, milionarie e cariche di benefits.
Se il trend di disuguaglianza sociale dovesse ancora aggravarsi non è escluso che possano ritornare forconi in quelle piazze che videro i meno giovani di oggi confrontarsi con violenza, su ideologie opposte, che sarebbe bene accantonare del tutto.
Anzi, in Sicilia s’è formato il movimento dei forconi che accomuna i settori dell’autotrasporto, non scevro da infiltrazioni mafiose (così viene riferito da giornali e sospettato da parti politiche).
Un governo che ha fortemente a cuore la coesione sociale svilupperà una politica economica per il tendenziale ridursi delle disuguaglianza, a termini di Costituzione.
La progressività spinta del prelievo fiscale oltre una determinata soglia di guadagni personali permetterà di rendere visibile ai più lo sforzo per l’equità.
Non si vuole sposare, qui, l’ideologia collettivistica, quanto piuttosto evidenziare l’idea che in una nazione ove le diseguaglianze siano talmente elevate da procurare odio reprimendo , si renderà inevitabile rinforzare le postazioni in armi perché, prima o poi in quella nazione scoppieranno lotte sociali.
Il capitalismo finanziario ha forse tra i suoi obbiettivi malcelati quello di fare scatenare rivolte sociali da reprimere, facendo arretrare anche i più comuni e semplici diritti di una democrazia?
Occorre persuadersi che la scelta operata dalla nostra Costituzione di dare valenza sociale all’attività economica e di attuare una fiscalità coerente con la capacità contributiva, è la strada da perseguire con ogni mezzo e con ogni strategia, di natura fiscale o di stretta politica economica.
Se un manager guadagna milioni di euro all’anno, il confronto non va fatto con gli altri manager di altri paesi; il confronto va fatto con l’operaio e l’impiegato di quell’azienda che dirige.
Dovrebbe essere insopportabile per un buon capo di governo sapere che tra i suoi concittadini vi sono molte, moltissime persone ricompensate per il lavoro come miserabili, senza pregio alcuno ed altre , in ristretto numero, come dei novelli re sole.
La leva fiscale serve non solo a dare servizi ma anche a favorire quelle indispensabili redistribuzioni di redditi che consentano un sufficiente benessere diffuso fra la popolazione. A costituzione attuale vigente.
Spetta al Governo individuare un soglia minima ed una massima entro cui le differenze di reddito e di ricchezza fra i cittadini non sostanzi insopportabili discriminazioni nell’obiettivo del benessere condiviso.
Interventi per i giovani
Gli investimenti in settori caratterizzati da nuove conoscenze, applicazioni tecnologiche specialistiche, elevato know how, spinta competizione a livello mondiale, sono capaci di attivare meglio di qualsiasi altro investimento, l’occupazione giovanile a più intensa acculturazione.
Solo attraverso la valorizzazione della capacità giovanile di adattamento non scevro dalla volontà di affermazione sociale si rende possibile evitare la c.d. fuga di cervelli dall’Italia.
Si stima che ogni anno 70.000 laureati nelle diverse discipline abbandonino il nostro Paese, conseguendo spesso risultati soddisfacenti e di solida affermazione in altri Paesi dell’Europa oppure oltreoceano, negli States, ove la crisi finanziaria ha avuto inizio.
Come reperire risorse
Vi sono già risorse europee, erogate dalle Regioni, per l’avvio di specifiche nuove attività da parte di soggetti d’età fino a 40 anni, a fondo perduto, previa approvazione del progetto e corso formativo, ove occorra.
Ma non bastano per avviare un percorso virtuoso di occupazione giovanile, ad elevato contenuto di professionalità e conoscenze tecnologiche.
Il decreto liberalizzazioni ha introdotto la figura della società semplice giovanile, under 35 anni, con procedura che costa simbolicamente 1 euro.
Risorse consistenti, all’interno del nostro Paese, possono essere tratte dalla lotta senza quartiere all’evasione fiscale la quale non si attua, come operato finora dai governi politici scudando capitali trasfugati illegalmente nei paradisi fiscali, dietro pagamento anonimo di insignificanti percentuali ovvero pretendendo sempre più da chi già è al limite della pressione fiscale.
Un duplice sistema è proponibile nelle attuali contingenze.
Uno premiale per chi si comporta correttamente, che si indirizza alla contrapposizione degli interessi: lo scontrino che incorpora piccole vincite, erogate col sistema del gratta e vinci o simili forme è già stato sperimentato con successo nelle economie orientali.
L’altro è di controllo dei grandi patrimoni e delle enormi disponibilità finanziarie, applicato al territorio col supporto dei dati in possesso dell’amministrazione finanziaria e delle banche.
Il c.d. biltz su Cortina non può restare esempio isolato, circondato da un criticato alone poliziesco e mediatico; l’amministrazione finanziaria ha personale e competenze, per un’azione ordinaria di contrasto. Ma non può essere la banderuola dei governi.
Peraltro, sembra che il blitz abbia riguardato alcune decine di situazioni commerciali e patrimoniali, rispetto a un migliaio di soggetti, potenzialmente controllabili ! Comunque, ci sono stati molti rumors.
Ricordo che ai tempi dell’imposta di famiglia, anni ’70, in zone frontaliere, numerosi erano coloro che volendo sottrarsi all’imposta dichiaravano di essere poveri contadini e facevano ricorso contro il Comune alla G.P.A.- Sezione Tributi, presso la Prefettura del luogo.
Bastava un semplice controllo delle mani per avere la prova provata che i più dei ricorrenti erano contrabbandieri di tabacco e non contadini.
Quasi come in quel programma della TV, i soliti ignoti, ove talora viene chiesto dal concorrente all’ignoto personaggio, di farsi esaminare le mani, per indovinare il lavoro svolto! Altri tempi, altri metodi.
Ma, forse, stesse disuguaglianze, dal momento che discendendo lo stivale, anche allora l’imposta di famiglia diventava eventuale, o si volatilizzava del tutto nei confronti di nuclei familiari con parità di reddito rispetto a certe zone del nord Italia.
La contropartita visibile di quell’imposta erano investimenti sul territorio, presso che assenti ove l’imposta non veniva applicata e riscossa. Sono affermazioni che derivano da diretta esperienza di lavoro.
Altre risorse, in opposizione al permanere tracotante del potere finanziario, potrebbero derivare con l’introduzione, almeno in ambito euro della Tobin tax.
Un piccolo prelievo sulle transazioni finanziarie capace, tuttavia, di produrre grandi riserve per investimenti, tenuto conto che i movimenti finanziari giornalieri, anche nel solo territorio dell’euro, ammontano a centinaia di miliardi.
Una volta reperite e stabilizzate le nuove risorse, una parte di esse dovrebbe essere normativamente indirizzate a investimenti per i giovani.
Nuove e diffuse cittadelle della ricerca e del sapere sperimentale, in tutti i campi della conoscenza e della tecnologia, utilizzando all’uopo stabilimenti dismessi e prossimi alle diverse aree industriali.
Al funzionamento e all’affermarsi di queste cittadelle, veri aggregati della sperimentazione, della ricerca integrata fra i settori, sarebbero chiamate a contribuire anche le aziende e privati cittadini attraverso donazioni ad hoc.
Puntare sulla conoscenza e sul sapere diffuso è quanto di più stimolante possa esserci per progetti di sviluppo economico e sociale; dalla maggiore e più diffusa consapevolezza in definitiva deriverebbe anche il consolidamento delle spinte a partecipare alla vita democratica di quel Paese.
Non sono da trascurare interventi coordinati per l’occupazione, anche dei giovani, nel settore dell’agricoltura e dell’agroalimentare di qualità.
Ogni anno si assiste, specie in prossimità delle feste, a resoconti di interventi antisofisticazione per fronteggiare massicci comportamenti criminali nell’agribusiness: imprenditori di grandi aziende hanno trovato conveniente, secondo reportages giornalistici, importare prodotti di infima qualità (vedi settore olio extravergine d’oliva) e col sistema truffaldino della c.d. trasformazione, immetterli nel mercato della grande distribuzione a prezzi ultraconcorrenziali, spacciati quali prodotti genuini di provenienza nazionale.
E’ di ieri, 23 gennaio, la notizia riportata su la Repubblica dell’importazione di grossi quantitativi di pane surgelato dalla Romania, immessi nel mercato a low cost; i forni per la cottura del pane funzionavano bruciando legno delle bare e copertoni di auto.
Tali comportamenti criminali, dentro e fuori il nostro Paese, oltre a comportare una grave perdita delle occasioni di lavoro in agricoltura, causano inevitabilmente malattie dovute alla cattiva alimentazione.
Peraltro, la spinta verso il basso dei prezzi ai produttori di alimenti, imposti dalle grandi catene della distribuzione, già ha prodotto uno scadimento sensibile della qualità delle merci, specie se si confrontano con quelli reperibili ai giusti prezzi presso i piccoli mercati a km zero.
Se la globalizzazione è capace di imporre ai produttori prezzi da mera sopravvivenza, non dobbiamo meravigliarci se sulla tavola della gente comune si trovano prodotti contaminati da pesticidi, carni gonfiate di ormoni, uova che sono consumabili solo se cotte, pane contaminato etc. etc
. Anche il mercato ittico è lungi dall’essere esente da sospetti di contraffazione. Incentivare i giovani a lavorare in questi settori, assicurando loro redditi soddisfacenti e tempi di occupazione compatibili con la vita sociale valorizzerebbe l’opportunità di considerare il territorio ed il mare beni preziosi e rari da preservare .
Interventi sull’immigrazione
Le normative hanno favorito, sinora, il fenomeno dell’immigrazione c.d. clandestina e l’adozione di ulteriori provvedimenti tendenti a renderla più difficile, senza tuttavia riuscirci.
L’immigrazione è un fenomeno inarrestabile quando in molte parti del pianeta intere popolazioni sono al livello di mera sopravvivenza o sotto il peso di governi dittatoriali e spietati. L’accoglienza nel nostro Paese dovrebbe essere la cifra della nostra cultura, consapevoli che i nostri avi furono emigranti a milioni e che tuttora lo siamo, per decine di migliaia di concittadini, annualmente.
Occorre potenziare gli strumenti per rendere l’accoglienza capace di valorizzare le capacità dei migranti, le quali sono talora di elevato spessore.
Bisogna guardare ai migranti quale nuova risorsa di democrazia e di benessere, consapevoli tuttavia che lo spostamento di popolazione produce inevitabilmente ritardi e difficoltà di sviluppo proprio nei paesi da cui i migranti provengono.
Ne è esempio tuttora visibile e sperimentato dolorosamente, lo stato di minore benessere ovvero di malessere e disorganizzazione di alcune aree, presso che spopolate di forza lavoro, nel sud d’Italia. Se la massiccia emigrazione negli anni ‘50-’60 ha consentito al nord Italia di conseguire sviluppo industriale e benessere sociale, si è assistito, per contro ad un progressivo impoverimento del tessuto socio-economico del sud; e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.
Tale esperienza interna suggerisce che gli interventi sull’immigrazione siano portati anche direttamente nei paesi da dove partono i migranti, limitando l’emorragia da quelle aree.
Ne nostro Paese, invece, occorre rendere effettivo il confronto sociale ed economico fra migranti e cittadini, favorendo le opportunità di incontro fra loro e le aziende , fra loro e le istituzioni pubbliche, per sussidi di disoccupazione e forniture dei medesimi servizi riservati ai cittadini, col diritto di voto dopo un periodo di permanenza, cominciando con il voto amministrativo e con la riserva di rappresentanza; etc.
Potrebbe , inoltre, essere prevista la tessera sanitaria, da rilasciarsi a seguito di identificazione e permesso di soggiorno.
Tale tessera, oltre a valere per le prestazioni da parte del Servizio Sanitario Nazionale, potrebbe avere una valenza specifica nel settore del lavoro.
Dal momento che è inevitabile per i migranti trovare un lavoro per il sostentamento, l’inserimento progressivo sarebbe facilitato ove essa, da sola bastasse per esercitare alcune attività nei confronti delle famiglie e delle piccole aziende marginali, capaci di offrire occasioni di lavoro.
Dovrebbe essere fissata una retribuzione oraria minima, comprensiva di imposte e contributi.
Il pagamento delle spettanze avverrebbe per metà direttamente nelle mani del prestatore d’opera e per metà attraverso l’istituto assicurativo e contributivo che ha ricevuto dal committente il pagamento per il lavoro; l’istituto tratterrebbe una quota per contribuzioni e imposte, dando comunicazione anche all’Agenzia delle Entrate.
Il committente potrebbe essere invogliato a effettuare questo tipo di pagamento anche on line e ottenere nella dichiarazione dei redditi una significativa deduzione d’imposta per le spese occorsegli.
Si otterrebbero con tale procedura, affatto diversa da quella dei vouchers, che potrebbe permanere, due risultati significativi: i migranti troverebbero una accoglienza quasi spontanea da istituzioni e famiglie; diminuirebbe il lavoro al nero cui oggi ricorre la quasi totalità delle famiglie e delle piccole aziende per lavori di aiuto , sostegno o di collaborazione domestica.
Sostenibilità dello sviluppo dell’economia
L’economia ha in se stessa le potenzialità di sviluppo illimitato: è una ipotesi di scuola che conflittua con numerosi altri parametri e situazioni, a confronto dei quali e a causa di esse, si assiste a crisi cicliche di stagnazione o recessione.
L’attuale crisi sembra piuttosto crisi di sistema, a fronte della quale c‘è da chiedersi quali debbano essere gli strumenti operativi per migliorarlo o sostituire lo stesso sistema.
Si è già detto che il capitalismo finanziario ha bisogno di nuove e più incisive regole, soprattutto per evitare che esso possa far capitolare, ovunque nel mondo l’economia reale, tenuto conto dell’enorme massa di valuta detenuta da pochi soggetti, stati sovrani o corporations.
E’ chiaro che le decisioni debbano essere prese ai vertici delle istituzioni e trattasi di istituzioni politiche, precipuamente.
E’ dfficile che esse vengano assunte nel breve termine: è in atto una competizione mai vista fra le diverse aree del pianeta, che non esclude la cooperazione, ma nella quale prevale, come una volta nel mondo povero di comunicazioni, la tutela degli specifici interessi nazionali.
La crisi che stiamo scontando, quale crisi di sistema, evidenzia che l’economia fondata sulla finanza che si è auto prodotta e si è amplificata a dismisura, ha portato all’arretramento dell’economia reale e ha ridotto per molte persone la disponibilità di beni e servizi.
L’inversione di rotta potrebbe partire dall’obbligo delle corporations a investire una buona parte delle sopravvenienze in aziende manifatturiere; insomma la finanza al servizio dell’economia e non viceversa.
Occorre qui considerare i parametri della quantità e della qualità della popolazione in una particolare area: essi offrono all’economia le premesse di sviluppo e pongono per converso, dei vincoli insuperabili .
La densità di popolazione appropriata alla quantità di territorio disponibile per la popolazione stessa, viene ritenuta da studiosi in ambito socio-economico, il parametro più importante da considerare ai fini di uno sviluppo ordinato e sostenibile.
Le risorse del pianeta non sono inesauribili e ciò nonostante la popolazione mondiale si accresce oltre i 7 miliardi di individui, bisognosi di tutto ciò che comporta l’appartenenza al genere umano.
Miliardi di persone vivono in uno stato di indigenza e molte centinaia di milioni di esse non dispongono nemmeno di acqua sicuramente potabile.
E intanto l’entropia nel sistema terrestre si accresce e non si riesce a mantenerla entro limiti naturali; insomma, l’uomo, anche a causa della esplosione demografica e della conseguente insostenibilità dell’eccessiva densità di popolazione, può determinare alla lunga processi irreversibili di disordine entropico con conseguenze di gravi compromissioni per la stessa sopravvivenza degli umani.
Il fenomeno della nevicata chimica, giorni addietro, in val padana, un’area fra le più inquinate al mondo, è segnale inequivocabile del grave degrado ambientale a causa dell’attività umana, non controllata e, così pare, non più controllabile.
Un programma di contenimento della crescita demografica si impone a livello globale, parimenti a quello di una equa distribuzione delle risorse; lo scoglio contro cui ha sbattuto la finanza è assai più piccolo di quello contro cui sbatterebbe l’umanità per l’eccessiva, generalizzata, densità di popolazione a fronte della mancanza di territorio capace di sostenerla.
Evitare futuri conflitti e porre fondate basi di pacifica convivenza si può, ma un programma accelerato di denatalità si impone.
Le aree già economicamente sviluppate hanno registrato negli ultimi decenni crescite demografiche pari quasi allo zero; non così nelle aree del pianeta già denominate terzo mondo: si stima che in India, nei prossimi 40 anni dovranno convivere oltre 1,5 miliardi di persone, già oggi l’Africa conta 1000 milioni di esseri umani, a fronte dei 100 milioni che la popolavano all’inizio del xx secolo.
Il bisogno di terra spinge grandi potenze economiche o Stati che basano la loro economia esclusivamente sulle royalties petrolifere ad acquistare immensi territori in Africa e in Sud America per assicurarsi il fabbisogno alimentare per la popolazione e per gli allevamenti intensivi di animali da carne.
Nuovi traguardi
Posto che la decrescita demografica accelerata si impone, a cominciare dalle aree più densamente popolate, non bisogna dismettere i programmi di sviluppo verso nuovi e più ambiziosi traguardi di benessere diffuso.
E’ evidente che l’istruzione e l’apprendimento scientifico e tecnologico è strumento indispensabile di sviluppo, per fronteggiare le avverse condizioni di esistenza degli uomini ed anche per correggere le gravi disuguaglianze fra le nazioni, causa prima di conflitti e guerre .
Rendere disponibili le risorse del pianeta alla massima parte degli umani è fondativo di benessere e di pace.
E’ ancora utopistico guardare ad una governance mondiale che sia il risultato di accordi fra gli Stati, che vadano senza indugio oltre gli obbiettivi che le Nazioni Unite si sono posti.
Le molteplici agenzie che sono collegate all’ONU non danno, in definitiva, buona prova di sé, se complessivamente le cose non vanno per niente bene rispetto ai risultati conseguibili. La condizione di povertà, vecchia e nuova, sembra allargarsi senza possibilità di opporre un argine.
Agli individui rimangono spazi vitali sempre più ristretti e predeterminati ove le progettualità personali sono sacrificate alle direttive del sistema.
La ricerca medica e le applicazioni tecnologiche in diversi campi trovano restringimenti economico finanziari e ideologico-religiosi che ne ostacolano il libero progredire.
Gli oligopoli finanziari si pongono, infine, come gli arbitri dell’andamento generale dell’umanità, influenzando o etero dirigendo a piacimento le istituzioni internazionali e gli ordinamenti politici degli Stati nazionali.
Eppure è innegabile che l’umanità potrebbe percorrere la strada di comune benessere.
Pressione demografica e densità di popolazione
Quali sono gli accordi indispensabili per avviare una progettualità fattibile di pace e di benessere? Il primo potrebbe essere quello di avviare un accelerato programma di denatalità, superando, in questo ambito, le arretratezze di povertà, culturali e i vincoli ancestrali religiose.
Occorre, quindi destinare grandi risorse prelevandole dalle transazioni finanziarie e riassegnarle alle comunità di base, premiando significativamente e con modalità appropriate agli ambiti territoriali, i comportamenti coerenti col programma di denatalità.
In sostanza progetti che apportino maggiore consapevolezza individuale e attribuzione premiale di risorse.
E’ sciagurato pensare che il pianeta abbia risorse illimitate.
Le inevitabili conseguenze dell’esplosione demografica incontrollata saranno guerre giornaliere per la sopravvivenza, fra i poveri della terra che diventeranno sempre più numerosi e pressanti sulle aree meno povere del pianeta.
In queste aree, il depauperamento dei beni disponibili alla vita procurerà alla lunga il fallimento del welfare e il progressivo abbandono dei programmi di protezione sociale; se non, addirittura, conflitti insanabili fra le generazioni.
Non si tratta di essere profetici sulle situazioni a venire: se non se ne viene a capo sulla pressione demografica, non basteranno gli oceani, i mari e le terre, il sottosuolo e l’aria a far sopravvivere decentemente questa umanità miope e distratta, avviluppata sugli interessi di breve, brevissimo respiro.
Il ritorno ad una densità accettabile di popolazione consentirà di recuperare fertilità nei suoli, minor bisogno di energia, un livello di entropia controllabile e riferibile al sistema naturale sole terra, unico e insostituibile termometro e metronomo del futuro degli umani.
Nel frattempo occorre che gli accordi fra gli Stati si indirizzino a programmi di investimento per la salvaguardia delle biodiversità, sostenendo le economie marginali, incoraggiandole a produrre non per le esigenze dei mercati delle economie forti, predatrici dei prodotti a prezzi infimi, quanto, piuttosto a produrre per le esigenze di sostentamento delle popolazioni di quelle aree.
L’aiuto tecnologico per la rifertilizzazione dei suoli e la potabilizzazione dell’acqua è capace se condotta sulla base di accordi plurimi, aventi come obbiettivo comune il benessere comune nell’unico pianeta che abbiamo, di invertire il processo di sterilizzazione e desertificazione, vale a dire il processo di inabitabilità della terra per un numero così grande di abitanti.
Un solo modello di sviluppo, quello dell’economia capitalistica-finanziaria occidentale, sembra allo stato delle cose, quello più ambito dalla popolazione mondiale, urbanizzata per oltre 3,5 miliardi di persone , così indirizzata dai governi degli Stati.
E’un modello non solo sbagliato, ma capace di far precipitare in crisi sistemiche la vita della massima parte degli umani, deprivati di un proprio ambiente naturale, incapaci di essere protagonisti della propria esistenza, per lo più solo forza lavoro che il sistema ora accoglie volentieri, ora abbandona perché obsoleta o asseritamente costosa.
Verso una nuova umanità?
Produzioni diffuse , differenziate ed orientate, per un ambiente sano e meno ostile per la sopravvivenza , con equi compensi, comparabili in ogni area del mondo per il lavoro prestato.
Programmi di istruzione scientifica fin dalla prima infanzia, acqua disponibile e potabile, messa al bando delle armi chimico-batteriologiche e nucleari, forum delle religioni e delle conoscenze umane, tecnologie nuove e disponibili, abbandono dei parametri finanziari quale valutazione della ricchezza degli Stati, programmi sanitari per standard accettabili di assistenza medica, equità fiscale sociale e turn over politico ovunque negli Stati del mondo, etc. insomma una nuova umanità ricca di consapevolezza più che di produttività, ricca di tempo da dedicare allo sviluppo e alla valorizzazione della persona e delle comunità, cooperante e rinunciataria alle ideologie capaci solo di impedire i dialoghi e i confronti.
Questa nuova umanità potrà svilupparsi, previo contenimento rapido della crescita demografica, nel riconoscimento dell’appartenenza ad un unico genoma abitante nello stesso ormai piccolo pianeta.
Nello sforzo congiunto di dar valore alle potenzialità dell’homo faber, per sua fortuna o sventura dotato di un cervello insolitamente sovrabbondante rispetto alle esigenze comuni e basilari del vivere, ma da utilizzare per liberare e realizzare progetti oggi impensabili di benessere e di felicità, pur nella consapevolezza della precarietà dell’esistenza, comune a noi e a tutte le forme di vita.
Utopie, come quella, seppur piccola e modesta di far crescere la vite nell’isola di Fogo, Capo Verde, nel cratere del vulcano, a 1800 metri di altitudine, ottenendo dopo anni d’impegno, vino bianco, rosè e rosso dalla bontà impareggiabile.
Da bersi in pace e in buona compagnia !
23 gennaio 2012
P.S. Oggi 26 dicembre 2012 è stata inaugurata in Cina la linea ferroviaria superveloce capace di collegare in 8 ore le città di Pechino e Canton distanti 2300 km.
Essa, costruita in tempi da record, vale a dire con tempi cinesi, ci può e ci deve far riflettere sull’urgenza che il nostro piccolo Paese si doti anch’esso delle infrastrutture capaci di affrontare le sfide del nuovo millennio.
I nostri treni superveloci percorrono alcune direttrici dello stivale, anche per ragioni semplicemente orografiche e ciò si comprende; quello che non si comprende, tuttavia, è il ritardo e l’inadeguatezza dello Stato e delle aziende pubbliche nella risposta ai principali bisogni collettivi con pari impegno per tutti i cittadini, senza che la risposta medesima debba esclusivamente dipendere da prefissati ritorni economici.
Intendo dire , per fare l’esempio delle nostre ferrovie, le cui linee sono state realizzate prevalentemente col denaro della fiscalità generale, che mi appare del tutto sconveniente destinarvi treni veloci in cui debba essere scontata la frammentazione tariffaria a seconda della classe che il cittadino utente può permettersi.
Dopo la seconda guerra mondiale, quando ero bambino, c’erano tre classi e con la mia famiglia viaggiavo in terza classe, perché costava meno delle altre che rimanevano spesso desolatamente vuote.
Diverse volte, in seguito, sono stato costretto a lunghi viaggi in piedi in sovraffollati vagoni di seconda classe, nonostante ci fossero posti in quelli di seconda.
Ora , sui treni super veloci (le frecce!) grazie a Moretti le classi sono passate da due (del periodo anni 60-2010) a quattro. Non c’è che dire , un bel salto di qualità nel senso della classificazione dei cittadini.
Ed anche il supertreno Italo ha seguito il medesimo progetto di rendere servizi differenziati su 4 classi ma su linee pubbliche.
Voglio sostenere con forza che quando si tratta di bisogni collettivi a cui si risponde con strutture collettive, i servizi devono essere proposti uguali per tutti avendo cura di offrirli in sincero rispetto della comune cittadinanza.
Possiamo aspettarci, per il prossimo futuro, strade percorribili velocemente su corsie riservate a chi pagherà un sovrapprezzo di tariffa?
Ovvero scuole pubbliche superspecializzate con professoroni superpagati per sola gente assai benestante?
Ovvero ancora ospedali pubblici di eccellenza solo per chi possiede assicurazioni private che andranno a sostituire l’insostenibile stato di welfare, per dirla con Monti?!
Occorre investire e investire molto in cultura della comune cittadinanza, della comune appartenenza, della comune solidarietà; per dirla con la nostra bella Costituzione, bisogna investire su noi stessi, riducendo velocemente privilegi e oligopoli di caste e corporazioni.
E’ vero, occorre salire in politica, ma non per mantenere questo terribile e stringente come cappio al collo, sistema di economia capitalistico-finanziario pregno di inevitabili insulti ai più poveri e denso di nubi per la coesione sociale del nostro Paese e dell’Europa intera.
Il primato della politica esige, tuttavia, uomini ad essa dediti solo per un lasso di tempo e coraggiosi , capaci di aggregare in progettualità comuni e condivise le scelte che le circostanze impongono; e non abbisogna di nuovi uomini della “provvidenza” ancorchè considerati (ma da chi, poi?) indispensabili perché essi soli, leaders incontrastati, sono in grado di offrire al popolo, tramite i subalterni “sacerdoti” le nuove 10 regole (ma cos’è questa irresistibile lista di 10?)
Questo numero che spesso ritorna mi preoccupa non poco.
26 dicembre 2012